Neuroplasticità: come si riorganizza il cervello
Facendo riferimento ala neuroplasticità, o plasticità cerebrale, intendiamo la capacità del nostro sistema nervoso centrale di riorganizzarsi a livello funzionale e anatomico nel corso della vita. Grazie a questa “plasticità”, caratteristica del cervello, i neuroni possono rigenerarsi, andando a creare nuove connessioni sinaptiche. Il patrimonio genetico di ogni individuo e l’ambiente in cui vive (le cosiddette condizioni esterne) giocano un ruolo di primo piano in questi meccanismi di plasticità.
Meccanismi di neuroplasticità: quando entrano in gioco?
La plasticità cerebrale ricopre un ruolo fondamentale in determinati fasi della vita, fra cui troviamo1:
- nei primi anni di vita di un bambino: periodo in cui il cervello immaturo si organizza. Si evidenzia così la grande importanza di meccanismi che definiscono il nostro sviluppo cognitivo;
- quando avviene una lesione cerebrale: in questo caso la plasticità incrementa le funzioni rimaste o compensa quelle perse. Grazie a questi meccanismi il nostro cervello riesce quindi a ristabilirsi in seguito a lesioni, arrivando persino a ridurre gli effetti indotti da patologie come il morbo di Alzheimer, il Parkinson, il deterioramento cognitivo, la dislessia;
- nell’età adulta: in questo caso quando viene appreso e memorizzato qualcosa di nuovo il cervello stabilisce una serie di connessioni neuronali. Nonostante ci siano dei peggioramenti legati all’età, la neuroplasticità ci accompagna per tutta la vita.
Come influisce la plasticità cerebrale sulle lesioni cerebrali?
Il nostro cervello è, senza dubbio, l’organo più affascinante e misterioso che possediamo. Grazie alla ricerca scientifica si è fatto luce sulla sorprendente capacità di “spostare” l’attività cerebrale collegata a una determinata funzione in un’altra area del cervello, questo come conseguenza di un trauma cerebrale. Questa capacità del cervello di riorganizzarsi permette quindi di educare aree cerebrali a svolgere funzioni che precedentemente erano assegnate ad altre aree, adesso impossibilitate a svolgere la propria attività a causa di una lesione. Interessanti ricerche riguardo lo sviluppo di un trattamento compensativo hanno, negli ultimi anni, riguardato l’emianopsia.
In che modo è quindi possibile riorganizzare e formare nuove connessioni neuronali? Andando a stimolare i neuroni attraverso esperienza e la pratica.
Altro elemento estremamente interessante è che le terapie basate sulla neuroplasticità non sono invasive, non è, infatti, necessaria l’assunzione di farmaci (nonostante vi siano anche condizioni cliniche che richiedono l’assunzione di medicinali) ma si basano, bensì, su attività svolte e ripetute del cervello.2
Come influisce la plasticità cerebrale sull’apprendimento e la memoria?
Contrariamente a quanto si è creduto per molti anni, la capacità del cervello di adattarsi tramite l’apprendimento è una condizione presente anche con il sopraggiungimento della vecchiaia. Nuove connessioni neuronali e la struttura interna delle sinapsi sono frutto dell’apprendimento.
Nel caso in cui una persona si specializzi in un capo specifico, le aree del cervello associate al genere di attività richiesta crescono in proporzione. Nel caso delle persone bilingue si riscontra una corteccia parietale inferiore sinistra più sviluppata rispetto a chi parla una sola lingue. In questo caso è l’apprendimento di una seconda lingua che stimola i cambiamenti funzionali nel nostro sistema nervoso.
Altro esempio è quello dei musicisti. La materia grigia dei musicisti professionisti (con almeno un’ora di esercizio al giorno) è infatti maggiormente eminente rispetto a chi non suona uno strumento oppure lo pratica in maniera amatoriale.
Blindsight: un altro esempio di neuroplasticità
Il Blindsight o visione cieca è un esempio di neuroplasticità. Nel video che vi proponiamo (pubblicato da Chewbster) è presente un soggetto con lesioni occipitali bilaterali con dei deficit campimetrici bilaterali. Il paziente afferma di non vedere gli ostacoli posti sul suo percorso ma riesce ugualmente a evitare l’ostacolo, anche se all’ultimo secondo, si tratta di una visione incosciente il soggetto non ha la consapevolezza di vedere.
Nell’adulto viene riscontrato il blindsight solo nel 2-3% dei casi. Ci sono stati molti studi per dimostrare quale è il meccanismo che si attiva per generare il blindsight. Nell’ipotesi più accreditata si pensa che se la lesione colpisce la zona della corteccia visiva primaria, quelle funzioni vengono vicariate dalle aree visive extrastriate (V5).
Bibliografia
- Plasticità neuronale e Cognizione, CogniFit.
- Cos’è la plasticità cerebrale?, 2014, Neocogita.
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