Emianopsia bitemporale: diagnosi e trattamenti

Davide Borghetti
Medico Chirurgo, Specialista in Neurologia
4 minuti
 
Il Dott. Borghetti mette al servizio dei lettori la sua esperienza con l’emianopsia bitemporale, omonima, altitudinale e nasale.
Sommario

    La redazione di Emianopsia ha il piacere proporvi l’intervista al Dott. Borghetti: laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Pisa, specializzato in Neurologia. Nel corso degli anni ha maturato una vasta esperienza nell’ambito della diagnostica neurologica, in particolare per quanto riguarda gli studi elettrofisiologici e di risonanza magnetica. Lo ringraziamo per aver messo a disposizione dei lettori la propria esperienza con lo scopo di fare chiarezza su una sintomatologia che si differenzia in: emianopsia bitemporale, binasale, omonima e altitudinale.

    Può raccontarci quale è l’esperienza maturata con i pazienti con emianopsia bitemporale, omonima, altitudinale, binasale? Quale quadro clinico Le si presenta più frequentemente?

    Nel corso degli anni, ho avuto l’occasione di affrontare l’emianopsia sia sul versante strettamente clinico, dunque neurologico e neuroftalmologico, che su quello strumentale. Le moderne tecniche di neuroimaging – come ad esempio la risonanza magnetica, con la quale ho avuto una lunga esperienza – sono infatti caratterizzate da elevati livelli di sensibilità, risultando pertanto indispensabili ai fini di un corretto e definitivo inquadramento diagnostico del disturbo.

    Tra le forme più frequenti vi sono indubbiamente quelle legate a esiti di natura vascolare (emorragica o ischemica), neoplastica (anche istologicamente benigna!) e post-traumatica. Esiste comunque la possibilità che l’emianopsia sia secondaria a situazioni relativamente più rare, come i eventi infettivi, o ancora riconoscere una genesi post-chirurgica (iatrogena).

    Occorre poi tener conto che molti di questi Pazienti presentano comorbilità legate all’eventuale estensione della lesione ad altri distretti anatomo-funzionali cerebrali. Non è raro dunque osservare la presenza di altri disturbi a carattere neurologico, quali alterazioni della deambulazione, della sensibilità, della coordinazione, del linguaggio e così via.

    Quale consapevolezza ha il paziente riguardo il proprio deficit visivo? Quali sono le sue richieste e necessità?

    Potrà sembrare strano, ma non tutti i soggetti affetti da emianopsia hanno una chiara percezione del proprio deficit. In alcuni casi, addirittura, questo emerge solamente durante un controllo occasionale, magari effettuato per altri motivi. La maggior parte delle persone, comunque, si rende ben presto conto che qualcosa non va, riferendo un vago disturbo della vista che li porterà, successivamente, ad avviare un percorso diagnostico completo.

    Altri ancora riferiscono con disarmante chiarezza le caratteristiche del proprio deficit (“non vedo metà del mondo”) e sono addirittura in grado di tracciare una linea di demarcazione netta tra ciò che vedono e ciò che non riescono a percepire. Molti si rendono conto di non riuscire più a fare cose semplici come leggere o guardare un film, dato che il deficit rende difficoltosa un’adeguata esplorazione dell’ambiente.

    Altri ancora vanno a sbattere contro mobili e oggetti, specie in ambienti non familiari, oppure ancora si rendono conto di non riuscire più a guidare, a scrivere o più semplicemente ad attraversare la strada con serenità. Le necessità e le richieste del Paziente, dunque, sono incentrate a un recupero della propria autonomia, anche e soprattutto per le piccole attività quotidiane.

    L’emianopsia, essendo una sintomatologia molto peculiare, nasconde insidie durante il processo di diagnosi (potrebbe infatti risultare difficile fare una distinzione con il neglect). Può spiegarci come si svolge la diagnosi e quali sono i segnali che assimilano il deficit visivo all’emianopsia?

    In alcune occasioni, in effetti, la diagnosi differenziale tra il neglect (emi-inattenzione) e l’emianopsia può risultare difficoltosa. Diventa quindi fondamentale non prendere decisioni affrettate e valutare con attenzione le caratteristiche del Paziente e del disturbo.

    Un primo elemento da tenere in considerazione è quello della distribuzione della lesione cerebrale, che deve essere congrua con il deficit sospettato. Generalmente (ma non necessariamente) l’emianopsia bitemporale e le altre tipologie sono un disturbo isolato, mentre il neglect si associa più frequentemente con altri deficit (es. uditivo, tattile o motorio). Ovviamente questo dipenderà, in larga misura, dalle cause e dalla effettiva distribuzione della lesione cerebrale.

    Nel neglect, per definizione, vi è una inattenzione dell’emispazio controlaterale, e questo avviene indipendentemente dalla direzione dello sguardo. Nell’emianopsia, invece, il deficit segue strettamente la direzione dello sguardo: alcuni oggetti possono essere osservati semplicemente spostando gli occhi. In questo caso, inoltre, il soggetto non ha in genere difficoltà a mantenere lo sguardo fisso su di una mira centrale, cosa invece molto difficile nell’emi-inattenzione.

    Per quanto concerne il recupero da emianopsia bitemporale o per le altre tipologie, esistono varie metodi di approccio (ad esempio approccio neuroriabilitativo; approccio mediante ausili ottici come lenti prismatiche). Può indicarci pregi e difetti che le caratterizzano?

    Gli approcci riabilitativi nell’emianopsia possono essere suddivisi in tre gruppi principali. Abbiamo innanzitutto il training mirato a migliorare i movimenti oculari di esplorazione, ovvero quel comportamento che ci porta a esplorare tutto lo spazio che ci circonda spostando la direzione dello sguardo. Se il campo visivo è deficitario (come nell’emianopsia) è comunque possibile effettuare una panoramica soddisfacente semplicemente riorganizzando il modo con il quale esploriamo l’ambiente.

    I prismi, invece, vengono impiegati per espandere il campo visivo: questo è fattibile solo se si riesce a far cadere l’immagine prismatica all’interno del campo visivo residuo del paziente. Purtroppo le lenti prismatiche rappresentano una vera e propria sfida (sia in termini di realizzazione, che di tolleranza) e non sono scevre da problematiche, tra le quali il rischio di una visione “sdoppiata”, che tende comunque a ridursi nel tempo.

    L’approccio neuroriabilitativo, infine, sfrutta i meccanismi di plasticità neurale e di integrazione di elementi multisensoriali, quali ad esempio stimoli visivi e uditivi. Si ottiene così un progressivo rinforzo delle funzioni compensatorie (come l’implementazione di adeguate strategie oculomotorie).

    Ringraziamo il Dott. Borghetti per averci fornito il punto di vista del neurologo rispetto a una sintomatologia peculiare come l’emianopsia bitemporale, omonima, altitudinale, binasale. Continua a leggere la seconda parte dell’intervista al Dott. Borgetti: Deterioramento cognitivo: il percorso di riabilitazione.

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