Cheratocono: come riconoscere sintomi e cause
La redazione di Emianopsiaha il piacere di ospitare la Dott.ssa Chiara Spatafora: laureata in Ortottica e Assistenza Oftalmologica con ulteriore abilitazione in ottica. La Dott.ssa Spatafora ci offrirà un approfondimento sul cheratocono.
Che cos’è?
Questa malattia si manifesta come una distrofia della cornea, solitamente bilaterale (circa il 96% dei casi), ma si sviluppa in modo diverso tra i due occhi.
Nella maggior parte dei casi viene diagnosticato durante l’età adolescenziale, raramente in età superiore ai 25-30 anni, e tende ad avanzare fino ai 40 anni, età in cui si stabilizza.
Cause di questa patologie degenerativa della cornea
Si tratta di una patologia multifattoriale dove incorrono sia fattori genetici che ambientali:
- in alcuni pazienti è stata riscontrata una ereditarietà autosomica dominante con penetranza incompleta, sono stati identificati almeno 10 geni mutati che potrebbero favorire la sua insorgenza;
- per quanto riguarda invece i fattori ambientali, l’esposizione fin dalla tenera età alle radiazioni UV e alcuni fattori comportamentali come lo stropicciarsi gli occhi ”eye rubbing” (tipico nei bambini con allergie) determinano un ulteriore fonte di rischio.
Può essere presente in situazioni più complesse come:
- sindrome di Down;
- malattie autoimmuni a carico del tessuto connettivo;
- patologie come nella sindrome di Marfan.
Segni e sintomi del cheratocono
Questa malattia è caratterizzata da un assottigliamento dello stroma, il terzo strato che compone la cornea: questa alterazione spesso è determinata da una riduzione della sintesi di collagene da parte dei cheratociti e dalla diminuzione e degenerazione delle lamelle, tutto ciò si configura come un peggioramento globale della qualità di questo tessuto connettivo.
La malattia può progredire nel tempo oppure essere stazionaria (come nel caso del cheratocono frusto che si manifesta principalmente solo con una forma di astigmatismo irregolare).
A livello clinico si riscontrano determinati segni:
- deformità della cornea: quest’ultima assume infatti la forma caratteristica di un ‘‘cono” proprio per il suo assottigliamento;
- astigmatismo a livello rifrattivo: si manifesta in seguito a questa alterazione della superficie corneale, generato, per l’appunto, dalla variazione del raggio di curvatura corneale. L’astigmatismo, spesso, è associato a miopia e, nella fase iniziale questa malattia potrebbe essere scambiata per un semplice difetto rifrattivo. Questa patologia causa un astigmatismo irregolare che solo nelle prime fasi può essere compensato con gli occhiali ed è descritto dal paziente come una visione sfuocata e distorta;
- segno di Munson: altro segno caratteristico che consiste nella distorsione della palpebra inferiore, visibile in lampada a fessura, negli stadi iniziali e a occhio nudo negli stadi più avanzati quando si chiede al paziente di guardare in basso;
- strie di Vogt: si tratta di strie stromali simili a graffi, spesso verticali;
- anelli di Fleischer: accumulo del pigmento di emosiderina, un deposito ferroso che si trova nell’epitelio corneale, questi anelli possono essere giallo-marroni e sono visibili in lampada a fessura, solitamente più avanza la malattia e più questi anelli diventano sottili.
Come si svolge la diagnosi?
La diagnosi e il follow up richiedono visite oculistiche accurate:
- misurazione del visus;
- topografia corneale: per mappare la faccia anteriore della cornea;
- tomografia corneale: per lo studio della faccia anteriore e posteriore della cornea;
- pachimetria: per misurare lo spessore corneale (in condizioni normali lo spessore centrale è di 520-540µm);
- aberrometria corneale;
- ispezione in lampada a fessura.
Nel corso degli anni sono state fatte varie classificazioni:
- Amsler: la più semplice che si basava sull’aumento del raggio di curvatura della cornea;
- Krumeich: che abbraccia più parametri come la valutazione in diottrie della miopia e dell’astigmatismo, la presenza di cicatrici o di Strie di Vogte lo spessore corneale misurato con la pachimetria. In base al diverso stadio si attuano interventi medici differenti.
Trattamenti e cure del cheratocono
Nelle fasi iniziali, in seguito a una visita oculistica accurata con oftalmometro e pachimetria, dove si è mantenuta una buona acuità visiva si procede, inizialmente, con gli ausili ottici come gli occhiali e le lenti a contatto morbide. Questi ausili, ovviamente, non possono arrestare la progressione della malattia, ma servono solo per correggere la visione sfuocata.
Sempre tra gli ausili ottici molto utili possono essere le lenti fotoselettive per la protezione dai raggi UV e uno studio del film lacrimale per aiutare soprattutto i soggetti più giovani a non stropicciarsi gli occhi.
Il Cross-linking corneale
Nelle forme iniziali di cheratocono, forme in cui siamo proiettati verso una progressione della patologia e non a una sua stabilizzazione, è possibile intervenire con il Cross-linking corneale fino a quando si conserva un visus buono di 6-7/10.
Il Cross-linking è una terapia che può rallentare l’evoluzione della malattia: solitamente i pazienti più indicati a essere sottoposti al trattamento hanno dai 15 ai 25 anni, non presentano ancora strie di Vogt, buona acuità visiva e soprattutto uno spessore del tessuto corneale superiore ai 400µm.
Cross-linking epi-off
Questo intervento medico si esegue in sala operatoria, in terapia locale con collirio. Prima si esegue una disepetelizzazione corneale (nel trattamento epi-off) andando quindi a rimuovere un sottile strato dell’epitelio; successivamente viene somministrata la riboflavina, complesso della vitamina B2 che così sarà assorbita più facilmente in seguito alla rimozione dello strato epiteliale.
La riboflavina sarà poi irradiata da UVA: la radiazione aumenta il collagene presente nello stroma andando così a unire i collegamenti incrociati (cross- linking appunto), in questo modo si ha una stabilizzazione della progressione. L’intervento dura circa mezz’ora, successivamente il paziente dovrà portare per almeno 5 giorni una lente a contatto terapeutica.
Cross-linking epi-on
Oltre al trattamento ”epi-off” che si è dimostrato negli anni sempre più promettente nei soggetti giovani, è stato sperimentato anche il cross-linking ”epi-on” dove viene conservato lo strato di epitelio. Questa tecnica, sicuramente meno invasiva e dolorosa, si è dimostrata però meno efficace perché la riboflavina non riesce a penetrare in modo adeguato al livello dello stroma. Per questo motivo si impiega questa modalità di intervento solo in determinati casi, come nei pazienti che hanno spessori corneali molto sottili.
Lenti a contatto rigide
In casi in cui questa patologia ha raggiunto uno stato progressivo, dove gli occhiali e le lenti a contatto morbide non riescono più a correggere il difetto visivo, si ricorre all’utilizzo di lenti a contatto rigide che sono costruite per adattarsi allo specifico profilo corneale del paziente ma, anche in questo caso, le lenti a contatto non hanno un effetto terapeutico sull’andamento della malattia.
Interventi chirurgici specifici
Nei casi in cui neppure le lenti a contatto RGP riescano a migliorare l’acuità visiva ci sono degli interventi chirurgici specifici come l’introduzione di anelli intrastromali per andare a rinforzare la cornea e tornare così anche all’utilizzo di lenti a contatto.
Infine, nelle forme più gravi di cheratocono si ricorre al trapianto di cornea.
Ringraziamo la Dott.ssa Spatafora per il suo articolo e, qualora foste interessati a scoprire a che punto siamo in Italia con altre tipologie di malattie del campo visivo, vi invitiamo a leggere : Malattie oculari: la situazione in Italia.
Bibliografia
- Aldo Caporossi – Oftalmologia | Piccin-Nuova Libraia. 2017
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